DOLORE ALLA SPALLA: UN CASO DIDATTICO

2 Maggio 2016 Stefano Pagliarini 0 Comments

Questo caso clinico è relativo ad una esercitazione didattica fatta con gli studenti del 5° anno del corso di osteopatia CRESO di Falconara.
Ho voluto riportare questo caso perchè paradigmatico di come possa funzionare un trattamento di osteopatia partendo dai principi generali dettati da A.T. Still piuttosto che intervenendo in modo più o meno mirato sulla zona dolente.
A.G. ha dolore alla spalla destra da un pò di tempo. Il dolore non limita tanto la funzionalità della spalla ma comunque si fa sentire durante la notte ed in alcune situazioni della sua attività quotidiana.
Come di routine facciamo insieme una anamnesi veloce e lo osserviamo spogliato nella stazione in piedi. Di notevole c’è solo un intervento chirurgico al basso addome a cui è stato sotto posto 30 anni fa e un leggerissimo shift del bacino. La figura però nel suo complesso non presenta compensi posturali importanti.
Passiamo allora all’esame dinamico, cioè valutiamo il movimento della spalla e la deambulazione di A.G.. Quest’ultimo esame si rivelerà fondamentale per la diagnosi osteopatica che andremo a fare. Infatti A. quando cammina ha un deficit di rotazione del busto a destra e cammina un pò di traverso, usando un paragone poco ortodosso, come fanno i granchi.
Ora la domanda è: può un deficit di rotazione del busto influire sulla funzionalità della spalla?
Per rispondere a questa domanda è necessario fare un pò di luce sulle modalità con le quali in nostro corpo si muove e convive con la forza peso.
Il movimento delle nostre articolazioni che avviene nei tre piani è di flesso/estensione (piano sagittale), flessione laterale destra e sinistra (piano frontale), rotazione oraria/antioraria (piano trasversale), ma nelle nostre articolazioni non avvengono quasi mai movimenti puri su questi piani ma piuttosto movimenti misti. Allo stesso modo quando faccio un movimento, ad esempio quello di allungare la mano per prendere un oggetto ho una parte del corpo che esegue un compito, cioè di afferrare l’oggetto ed un’ altra parte che automaticamente assume un atteggiamento posturale adatto a mantenere una situazione di equilibrio. Questo atteggiamento posturale necessita di una capacità di adattamento del piede, della gamba/ginocchio, dell’anca, del bacino, del rachide e di tutto il cingolo scapolo omerale compreso l’arto superiore.
Questo perchè per avere una propulsione o il suo movimento inverso abbiamo bisogno in primo luogo di una rotazione che parta dall’asse centrale corporeo che potrà poi associarsi ad una flessione o ad una estensione. Quindi il percorso delle linee di forza che si scaricano al suolo sarà un percorso a spirale ( vedi le linee torsive della diafisi femorale) e la reazione che avrà il nostro corpo sarà anch’essa di avvolgimento/svolgimento a partire dal piede, al movimento tibia-perone, ginocchio, anca, articolazioni sacro iliache, rachide, cingolo scapolo omerale e arto superiore, tenendo libero da questo movimento il capo che deve avere una sua autonomia di direzione del campo visivo.
Questo movimento di avvolgimento/svolgimento avviene fondamentalmente per due motivi: il primo è economico, in quanto i sistemi muscolo tendinei in queste fasi accumulano in un primo momento energia per poi rilasciarla successivamente nella successiva fase, aumentando l’efficienza energetica del sistema. La seconda è ergonomica: l’azione avvolgimento/svolgimento che avviene a più livelli consente una ripartizione dei carichi su più articolazioni e diminuisce lo stress su ogni singola articolazione preservandone nel tempo l’integrità.
Il modo in cui quindi il nostro corpo risponde all’esigenza di muoversi in presenza della forza di gravità, coinvolge il nostro corpo in maniera globale, sia attraverso la parte muscolo scheletrica sia attraverso i sistemi di controllo che a partire dai 2,5/3 anni di età ci fanno muovere con schemi crociati.
Tornando al nostro caso clinico un deficit di rotazione del busto influenzerà sicuramente la funzione del cingolo scapolo omerale e dell’arto superiore perchè questo è l’anello finale di una catena che parte dal piede.
Per avere una conferma a questa nostra tesi osserviamo A.G. da tergo con le braccia abdotte a 90°. In questa posizione notiamo come il muscolo sotto spinoso sia ipotonico segno di una posizione e una funzionalità non fisiologiche della spalla.
Alla ricerca di un’ulteriore conferma alla nostra tesi procediamo ad una mobilizzazione del tratto D9-D11 che appare più rigido. Il miglioramento arriva puntuale sia nella deambulazione che nella mobilità della spalla che aumenta nettamente.
A questo punto ci poniamo la domanda: qual’è l’origine di questa restrizione di mobilità rachidea e possiamo pensare che il trattamento possa essere efficace nel tempo?
La risposta è nel successivo esame palpatorio dell’addome che evidenzia una tensione in fossa iliaca destra (probabile esito del vecchio intervento chirurgico) e una limitazione in espirazione della cupola diaframmatica sinistra. Infatti entrambe le disfunzione posso essere causa sia direttamente che indirettamente di una limitazione della rotazione vertebrale.
Intervenendo nel normalizzare le due disfunzioni sono migliorati tutti i paramentri dei test statici, dinamici nonchè l’atteggiamento posturale. Il trattamento ha avuto in effetti un efficacia anche in termini di durata almeno ad un mese di distanza.
Tutto questo è avvenuto senza nemmeno sfiorare la spalla ma solo attraverso un approccio globale, una analisi di forma e funzione e un intervento mirato su quelle disfunzioni che potevano interferire sulla dinamica degli schemi crociati del nostro A.G.

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